mercoledì 27 febbraio 2013

Se



Vi siete mai chiesti, se poteste rinascere, chi o cosa vorreste essere ?
O quale dote o talento particolare, che non avete, vi piacerebbe possedere ?
Nel mio caso, dal momento che non ho alcuna dote particolare, ho avuto un ampio raggio di scelte tra le quali andare a pescare. Dunque, vediamo.

In questo periodo, che a dire il vero è iniziato da un po’, ogni canale televisivo che si rispetti ha nel suo palinsesto almeno un programma dedicato alla cucina, ormai in giro sono tutti grandi chef. Il fatto è che uomini e donne, combattuti tra il lavoro, i figli da portare a violino judo canto nuoto inglese, la palestra per rassodare glutei o addominali, gli ingorghi stradali e intestinali e i mal di testa cronici, la cucina la vedono solo per sbattere nel microonde il minestrone pronto findus  surgelato. E quindi a cosa serve fare vedere tutto questo spadellare, tutto questo affettare, questo sminuzzare, tutte queste preparazioni di piatti in stile art decò se poi non hai neanche il tempo di scolare l’olio della scatoletta di tonno ? Non lo so. Ma lo fanno, eccome se lo fanno.
Ma tutto questo per dire che cosa ? Ah già, pensavo a cosa mi piacerebbe fare “da grande”, e ho pensato alla cucina. Cucinare è un’attività che mi piacerebbe saper padroneggiare. Smadonnare sui fornelli, controllare la sana provenienza degli ingredienti, miscelare la giusta dose di carboidrati, proteine e grassi per rendere un piatto un sapiente connubio di bontà e genuinità. Tutto pur di soddisfare il palato, la pancia e pure l’occhio, che si sa, anche lui vuole la sua parte. Sì, saper cucinare con maestria mi darebbe grandi soddisfazioni, ma non mi voglio fermare al primo “sogno” nel cassetto, andiamo avanti.

 Un’altra dote che non disdegnerei affatto è la capacità di imparare, e quindi parlare, diverse lingue. E già mi vedo in giro per il mondo, sempre a mio agio in qualsiasi contesto, perché saprei sempre cosa dire e soprattutto saprei come dirlo, che sogno. Non farei più quelle figure imbarazzanti tipo quando in Francia mi sono visto portare un’ottima piovra quando io ero convinto di aver ordinato filetto al pepe verde. O quella discussione infinita con un albergatore spagnolo che mi ha raccontato la storia della sua vita, in dialetto stretto asturiano, che io ho concluso con un OLE’, perché ho capito il 30% di quello che mi ha detto. Per non parlare delle lunghe telefonate con i colleghi tedeschi, il loro inglese metallico faceva a cazzotti con il  mio: maccheronico.  Già, sapere le lingue mi piacerebbe parecchio. Se poi ci potessi aggiungere tanti soldi come contorno, penso proprio che potrei passare la mia vita a girare per il mondo, in pareo e panama nei mari del sud, in giacca di velluto con le toppe, camicia a scacchi sapientemente aperta su petto villoso e jeans a New York.

Altro giro.

E questa volta penso che potrei anche fermarmi qui. In questo momento sto ascoltando “Sultan of Swing” e ho capito cosa vorrei saper fare più di tutto : suonare la chitarra.
Come si può resistere a un assolo del genere, come non cadere, insieme al resto della mascella, dinanzi a un’esecuzione così potente, precisa, coinvolgente, diabolica. Ho sempre pensato che fare il musicista, meglio se cantante, fosse il mestiere migliore del mondo. Immaginatevi la scena : San Siro, ottantamila persone venute apposta per voi, per vedervi e sentirvi cantare. Buio, parte la musica, loro la riconoscono, iniziano a cantare, voi fate il vostro ingresso sul palcoscenico che ora è illuminato come l’astronave di incontri ravvicinati del terzo tipo, loro vi vedono e impazziscono lanciando un urlo selvaggio senza smettere di cantare, e voi state lì, in piedi, a godervi quella sensazione di immortalità, in silenzio. Poi iniziate a cantare e la magia iniziale viene addirittura amplificata dalla vostra voce. Se esiste il paradiso, ecco, io me lo immagino così. Eppure, se sapessi suonare come Mark Knopfler, potrei anche rinunciare al paradiso, che tra l’altro può attendere, e suonare solo per me stesso. Chiuso nella mia cameretta spoglia, amplificatore a basso volume; volerei tra arpeggi, scale, accordi, riff, evoluzioni stilistiche a folle velocità, fino ad ubriacarmi di note che fuggono dalle corde bollenti della mia Fender Stratocaster rossa. E sarebbe un finale che neanche Biancaneve. I due si guardarono per alcuni istanti e si riconobbero, si erano cercati per tanto tempo ed ora erano uno di fronte all’altra. Lui la prese delicatamente tra le sue braccia, lei lo lasciò fare, trepidante. Lui la accarezzò delicatamente, lei ebbe un brivido in fa diesis, poi lui iniziò a suonare e lei sprigionò dalle sue corde tutto l’amore di cui era capace. E vissero per sempre felici e cantanti.